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Corte d'Appello di Bologna > Permessi
Data: 13/02/2002
Giudice: Benassi
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento: 401/01
Parti: Casa di cura Bellombra / Cava
PERMESSI STRAORDINARI PER GRAVI E DOCUMENTATE RAGIONI - DIRITTO ALLA RETRIBUZIONE - SUSSISTENZA


Una dipendente di un Casa di Cura privata addetta al reparto amministrazione, dovendo assistere la madre sottoposta ad intervento chirurgico, aveva chiesto di poter usufruire di tre giorni di permesso straordinario ai sensi di quanto previsto dall'art. 23 n. 1 lett. g del CCNL vigente, ottenendo solo l'autorizzazione ad assentarsi senza retribuzione. Invero la norma contrattuale contempla varie ipotesi di "permessi retribuiti" e, oltre a quelli concedibili in eventi specifici quali ad esempio il matrimonio, la gravidanza o il decesso del coniuge, annovera un «permesso straordinario, anch'esso retribuito non superiore a cinque giorni» per gravi e documentate ragioni. La lavoratrice proponeva allora ricorso al Tribunale di Bologna che accoglieva la domanda considerando da un lato la sussistenza degli aspetti di gravità ampiamente documentati dalla lavoratrice al momento dell'inoltro della richiesta, e dall'altro che la convenuta aveva autorizzato l'assenza documentata (salvo però negarle la retribuzione): conseguentemente condannava la convenuta a pagare la retribuzione corrispondente ai giorni di permesso concessi (cfr. Tribunale di Bologna, sent. 11.10.2000 in RGL, n. 6/2000 ). La Casa di Cura proponeva appello, ribadendo che l'art.23, n.1 lett. g del CCNL, pur prevedendo un "permesso", lasciasse comunque al datore di lavoro la facoltà di concederlo o meno e che, pertanto, il Tribunale di primo grado avrebbe violato le norme legali in materia di ermeneutica contrattuale (art.1362 e ss. c.c.), in particolare modo perché nell'interpretazione del contratto collettivo, i giudici di prime cure non avrebbero utilizzato il prioritario canone dell'interpretazione letterale. La Corte d'Appello di Bologna ha respinto il ricorso (e ha confermato, quindi, la sentenza di primo grado), richiamando anzitutto la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui in tema di contratti collettivi di lavoro - e di contratti in genere - l'elemento letterale rappresenta il primo e principale criterio per indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti e che, perciò, ove le espressioni testuali siano sufficientemente chiare ed univoche, il ricorso agli altri canoni ermeneutici risulta precluso (Cass. sent n. 6176/99, sent n. 763/99). Ciò premesso, la Corte è passata all'esame della norma contrattuale, ritenendo che essa distingua i permessi straordinari i tre diverse categorie: permessi straordinari retribuiti (art.23, punto 1 e punto 2, lett. a ), permessi non retribuititi (art.23, punto 2) ed, infine, permessi per handicap ex legge n. 104/92 (art.23, punto 3). Nell'ambito dei permessi straordinari retribuiti i giudici d'Appello hanno ulteriormente individuato due sottoinsiemi: quelli per i quali la contrattazione collettiva ha previsto una causa giustificatrice tipica, al verificarsi della quale il datore di lavoro è obbligato a concedere il permesso, «esercitando un mero controllo di legittimità sulla documentazione prodotta dal lavoratore» e quelli che, invece, non avendo una causa tipica, configurano un'ipotesi per così dire innominata di permesso retribuito. In quest'ultimo caso, aggiunge la Corte d'Appello, «il contratto collettivo ha rimesso al datore di lavoro ("l'amministrazione può concedere") la facoltà di valutare se, nel caso concreto, ricorrono le gravi e documentate ragioni necessarie per richiedere il permesso». Pertanto, i giudici di secondo grado, applicando il criterio dell'interpretazione letterale, hanno ritenuto che «le parti sociali si sono accordate nel senso di riconoscere al datore di lavoro, nel caso previsto dalla lettera g) dell'art.23 del CCNL, il potere discrezionale di valutare l' "an", cioè, se concedere o meno il permesso, con la conseguenza che il richiesto permesso può essere attribuito o negato sulla base di un giudizio di opportunità non altrimenti sindacabile; se tuttavia, il permesso, come in caso concreto è avvenuto, il datore di lavoro concede il permesso, esso è tenuto a retribuirlo». In altri termini, continua la Corte d'Appello, «la discrezionalità del datore di lavoro viene esercitata nel momento della valutazione dei gravi motivi, cioè della decisione se accordare o meno il permesso; una volta concesso, consegue, necessariamente, il riconoscimento della retribuzione per effetto della disposizione contrattuale collettiva…». I giudici del gravame, infine, valutando il comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto, hanno ritenuto che il CCNL 23.11.1999, non abbia introdotto modifiche sostanziali nella disciplina dei permessi retribuiti., confermando quindi l'esattezza dell'interpretazione dell'art.23 del CCNL del 1995